Pochi giorni fa, sotto ad un post, da qualche parte su Facebook, inerente il rifiuto da parte della nazionale calcistica iraniana di cantare il proprio inno nazionale per protesta contro il regime misogino, integralista e genocida, qualcuno ha ricordato che nelle olimpiadi del 1968 di Città del Messico gli atleti americani T. Smith e J. Carlos alzarono il pugno chiuso, durante l’esecuzione dell’inno statunitense, in protesta contro le discriminazioni subite, in madre patria, dalla popolazione non bianca (e anche da quella bianca non rispondente / responsiva ai parametri di “bianchezza” dell’epoca, e non solo dell’epoca).

Appena letto tale commento, mi sono sentito di ricordare che il velocista australiano Peter Norman, il cui record di allora è rimasto imbattuto per dècadi, si schierò con i due, e con tutto il movimento sportivo contrario alle politiche di apartheid americane e non. E reputo opportuno estendere e condividere in un post / articolo a sè stante la mia risposta a quel commento. Parole con cui ricordo la ferocia del razzismo istituzionale e del razzismo dei finti antirazzisti, indispensabili gli uni agli altri. Sappiamo bene che alcuni elementi hanno un bisogno disperato che le discriminazioni continuino ad esistere, perché altrimenti si ritroverebbero senza profitti e/o senza la loro “identità” di “brave persone inclusive” o di “ligi e fedeli patrioti che non sono razzisti ma . . .”.

Non è niente di speciale, quel che ho scritto, ma desidero ribadire che i doppi standard creano discriminazioni e divisioni al quadrato. Seguono dunque quelle mie riflessioni scambiate con uno sconosciuto, gironzolando per il web, rivedute, corrette e ampliate.

“Una sorte simile ( a quella dei due atleti NdA) toccò al campione australiano Peter Norman, che per prese di posizione antirazziste/anti-apartheid fu ignorato fino ai duemila ( una bellissima canzone dell’espressione musicale di Wu Ming, i Wu Ming Contingent, dedicata a Norman, sua eponima, ricorda che “a Sydney 2000 non lo invitano nemmeno”), quando il suo record era ancora imbattuto dal 1968.

Nel frattempo era già nato e si era diffuso il finto politically correct, tra gli anni ’80 e i ’90, figlio di battaglie TANTO GIUSTE QUANTO VERGOGNOSAMENTE STRUMENTALIZZATE DAL PADRONATO GLOBALISTA NEO-FEUDALE E DAI LORO MAGGIORDOMI.

Il messaggio che doveva trapelare sostanzialmente era (ed è): non provare a far finire le discriminazioni sostanziali, ma guai a te se non salvi le apparenze.

A scanso di ambiguità, prendendo atto della situazione contingente che comunque si è creata, REPUTO PIÙ CHE GIUSTO EVITARE IL TERMINE “N&GR0”, NEL PARLATO DI TUTTI I GIORNI, E AD OGNI LIVELLO COMUNICATIVO, “UFFICIOSO” OD “UFFICIALE”. Esattamente come buddisti e indù di varie scuole evitano, per ovvie ragioni, di “saturare” i templi e gli ashram nati in occidente di swastiche – quelle con la doppia v, visto che dobbiamo fare attenzione pure ai singoli caratteri, anche se sempre meno spesso per ragioni effettivamente culturali, o di Amore per la Verità – solari o lunari che siano (la swastica rubata dal terzo reich infatti non è una mera inversione della swastica “originale”, tipo “le croci capovolte dei satanisti”: quella “originale” ha una valenza mistico-spirituale solare, e quell’altra, PARIMENTI ORIGINALMENTE, ha una valenza mistico-spirituale lunare).

Ciò premesso, ricordiamo che in italiano, l’aggettivo impronunciabile non aveva accezione razzista intrinseca, era sinonimo neutrale di “nero”, ma venne irreversibilmente distorto dal significato dispregiativo con cui venne usato durante il ventennio (durante tal periodo esisteva una pubblicazione che oggi definiremmo mainstream, preposta alla divulgazione della propaganda razzista, diretta da quell’Almirante in seguito fondatore di un certo partito da cui ne derivò un altro, e poi un altro ancora, attualmente alla guida del paese). La perversione semantica del termine accadde decisamente sulla falsariga dell’angloamericano (quello sì INTRINSECAMENTE dispregiativo DA SEMPRE) “n1gg&r”, la “n bomb”, come viene definito tale aggettivo in neo-lingua.

Se vogliamo disquisire un po’ sul razzismo dell’epoca e sulle conseguenze nel qui ed ora, il fascismo italico trovò illustri ammiratori e sponsor tra quanti poi lo combatterono (leggi anche: tra quanti mandarono gente comune ad uccidere altra gente comune, e a morire), feroci colonialisti non meno razzisti degli ideologi dell’asse Roma-Berlino-Tokio. Criminali che allora come oggi implementavano dittature un po’ dappertutto, per poi rimuoverle, facendo strage di popolazioni già vessate da quelle stesse tirannidi, se e quando diventavano scomode o inutili.

La cosa è continuata dal dopoguerra al nostro presente. Oggi come oggi, lo sappiamo bene, chi fa finta di scandalizzarsi per il dispregiativo “n1gg&r”, non ha problemi ad essere sodale con regimi razzisti e fascisti convenienti per gli affari occidentali. E quei regimi sono intoccabili fino a quando servono.

Come all’epoca una parte di potere “democratico” avrebbe voluto che ignorassimo la vera natura del Cile di Pinochet, oggi bisogna glissare sulla vera natura del regime islamico radicale misogino e omofobico saudita, soprattutto da quando un certo politico nostrano ci si è messo in affari, per far procedere indisturbato il business e per non sputtanare il doppio standard. Se, ad esempio, qualcuno usa pubblicamente il termine “puttana” o “troia” rischia la gogna, ma ancor di più la rischia, nei fatti, chi evoca una vera distruzione radicale del mercato di carne umana e una regolamentazione delle/dei sex workers REALMENTE consenzienti.

Anche l’innocuo termine gay non sembrava essere abbastanza inclusivo, ci si è prodigati a creare un “trademark” di gusto burocratico e robotico come lgtbq+, ma in tanti paesi del mondo l’omosessualità, o anche il concubinato etero, rimangono “crimini”, come accennavo poc’anzi. Se lo denunci però, magari diventi “islamofobico” . . . perché decide il padronato schiavista quali islamici lusingare, quali ignorare e quali depredare e massacrare. Solidarietà con la rivolta iraniana dunque. Incondizionata. Stessa identica solidarietà anche con le vittime di altri regimi parimenti o più efferati, di cui non si deve parlare male – perché gli affari vanno tutelati, ovviamente”.