La cosiddetta resistenza contadina, molto discutibile a mio umilissimo parere, pone una serie di tematiche importanti, fra le molte: quelle, per esempio, di come e dove inizi l’onda del cambiamento, di cosa significhi resistenza al cambiamento stesso, di cosa sia evolutivo e cosa sia conservativo.

Sono solo una serie di esempi sulla qualità intrinseca e reale di una presunta “rivolta”. Andiamo per ordine, sempre più spesso si confonde il cambiamento necessario con gli aggiustamenti del potere, che riproduce sé stesso. Il cambiamento deve iniziare dal basso e non calare dall’alto , quasi fosse un dono di una assurda ed intoccabile divinità. Per farlo esso deve essere elaborato e conosciuto, mettabolizzato nella coscienza collettiva.

Questo meccanismo è, nella contemporaneità, fortemente manipolato e teleguidato dalla comunicazione, inquinato e reso impossibile dal “pensiero unico”,la coscienza che parte dal basso ed il “controllo democratico” che ne consegue deriva dalla conoscenza degli argomenti reali, che viene accuratamente manipolata, al giorno d’oggi.

È così, per esempio che la rivolta degli allevatori, tesa a conservare l’allevamento intensivo e l’agricoltura industriale diventa la rivalsa dell’agricoltura; ma quanti coltivatori puri, biologici o biodianmici ci sono fra i ribelli?

Quando il “cosiddetto” cambiamento cala dall’alto esso è, quasi ovviamente, inquinato dagli interessi di chi in alto vive. Meccanismo secolare, per altro, mai risolto (verticalità, orizzontalità, vecchio discorso).

Si è citata la “resistenza al cambiamento”,è difficile però realizzare quando essa sia evolutiva e quando conservativa. Lo è (difficile) soprattutto in questo caso specifico, quando il “ritorno al passato” è incombente e viene posto come obbiettivo, ma ritorno al passato cosa significa? Mano libera sui pesticidi? Allevamento intensivo? Genocidio animale? Il rischio oggettivo di “mercantizzazione globalizzata” può trovare risposta in una deregolazione generalizzata? È giusto uniformarsi al peggio per mantenere in piedi concorezza e competitività? Non è questo che fanno, oggi, cercando di uniformare al ribasso l’area dei diritti, o decentralizzando verso aree di mono d’opera a basso costo?

Ed infine la domanda delle cento pistole cosa è evolutivo? Cosa è Progressivo? È vero progresso questo avanzamento tecnologico senz’anima, la robotica senza regole, l’uso spudorato e finalizzato delle I.A: ad ogni livello del “vivere” umano? Sino alla sostituzione della creatività che mortifica l’intelligenza, la naturalità, la connessione? È davvero questa la strada dove vorremmo inoltrarci? L’idiocracy che mortifica l’evoluzione spirituale umana? È vero progresso l’agricoltura dei fertilizzanti, delle monocolture senza alcuna rotazione, dei pesticidi della meccanizzazione, degli allevamenti industrializzati? È questo il significato di “nutrire il pianeta”?

Basta la giustificazione dell’Europa dei banchieri e del Massimo Profitto che ci obbliga a consumare prodotti importanti che sono peggiori dei nostri a giustificare, con la necessità di competere, la mano libera all’industrilizzazione ad ogni livello? Può la realtà di un’Europa di malandrini giustificare il ritorno pedissequo ad un passato che non ha nulla di mitico e di migliore?

Dobbiamo riuscire ad individuare il significato delle parole “evoluzione e progresso”, comprenderne articolazione e complessità, determinarne i componenti per potere, infine definirli con un concetto condiviso.

Il progresso spirituale DEVE far parte di di questa definizione, la tecnologia non deve diventare ragione principale di stratificazione sociale. Ricordiamo, fra l’altro, quale sia la “soluzione evolutiva predilletta” dal sistema elitario che ci domina: è la depopolazione, un mondo tecnologizzato e guidato dalle I.A. Con meno di un miliardo di abitanti… è questo che vogliamo anche noi? È questo il progresso? È questa l’evoluzione umana? Una minoranza di quasi immortali che domina mondi di pedine stolte? Davvero?